Sì ad una riforma vera, no all’arroganza

William Santorelli - (Il Sole 24 Ore, 6 luglio 2006)


Il decreto Bersani sta suscitando un vivace dibattito dal quale cominciano ad emergere, dopo l’iniziale e quasi incondizionata approvazione da parte dei media, riflessioni critiche sul merito dei provvedimenti e sul metodo adottato dall’esecutivo.

Un intervento di tale portata, del resto, non può che contenere alcune misure apprezzabili ed altre discutibili, in un quadro fatto di luci ed ombre.

Uno degli assi portanti dell’intervento del Ministro dello sviluppo economico è quello relativo alle professioni intellettuali. Nei mesi scorsi, proprio su questo giornale, ho avuto modo di sostenere che la riforma delle libere professioni, colpevolmente procrastinata di legislatura in legislatura, ha tardato a vedere la luce non solo per i ritardi della politica, ma anche per alcune resistenze esercitate dalle professioni stesse.

Sono convinto che per queste ultime è arrivato il momento di rispondere a questa domanda: in un quadro di riferimento profondamente mutato, come ci si “attrezza” per mantenere la propria indiscussa centralità nel sistema produttivo italiano? Una prima risposta a questo interrogativo può a mio avviso venire tanto dalla volontà delle professioni di emanciparsi da lacci e laccioli che ne impediscono una presenza veramente libera sul mercato, quanto dalla rifondazione del sistema di rappresentanza degli interessi dei professionisti, mentre gli Ordini andrebbero ricondotti nel loro naturale alveo: quello della tutela della fede pubblica, dal quale sono stati troppo spesso costretti ad esorbitare.

Inquadrati da questa prospettiva, i provvedimenti del pacchetto Bersani non ci fanno affatto paura. Per i commercialisti le tariffe minime non sono un totem da anni, così come su pubblicità e società multiprofessionali le nostre aperture sono note da tempo. Il dibattito, pur nelle differenze inevitabilmente presenti tra le posizioni dei vari Ordini, si era spinto molto avanti, tanto da far ritenere ai più che questa sarebbe stata la legislatura della riforma. E’ quindi davvero sorprendente l’accelerazione imposta sul tema, con il ricorso difficilmente comprensibile alla decretazione d’urgenza.

Il sospetto, che è quasi una certezza, è che la fretta con la quale sono state adottate queste misure nasconda un approccio aprioristicamente persecutorio nei confronti dei professionisti. Si ha come la sensazione che quella corrente di pensiero che negli ultimi anni si è avvalsa di una agguerrita pubblicistica per individuare negli Ordini il principale freno allo sviluppo economico del Paese, abbia finalmente potuto dar sfogo ai suoi istinti punitivi, con un gesto inutilmente arrogante. Con effetti che potrebbero andare ben oltre la portata delle misure adottate e che rischiano di far fare enormi passi indietro al confronto tra politica e professioni. Perché, se è vero che una riforma equilibrata ma anche coraggiosa e per certi versi radicale è urgente, è altrettanto vero che essa dovrà comunque nascere in un clima di rispetto e dal riconoscimento del ruolo insostituibile delle professioni intellettuali. Se questo principio dovesse venir meno, il terreno del confronto risulterebbe inevitabilmente accidentato. E’ questo il motivo per cui è sicuramente molto apprezzabile la volontà manifestata dal Ministro Mastella di ricondurre tutta la questione nell’ambito di un riforma complessiva del comparto. Vedremo oggi, nell’incontro programmato presso il Ministero della Giustizia, quale sarà la piattaforma che il Governo sottoporrà all’attenzione delle professioni. Ma sin può sin d’ora affermare che lo sforzo concertativo del Ministero è una palese dimostrazione del fatto che è in atto il tentativo di porre rimedio agli strappi e alle forzature del Decreto Bersani. Un dialogo condotto nelle sedi appropriate e basato sul confronto, del resto, potrebbe inoltre ridurre il rischio per il Governo di apparire affetto da strabismo politico.

Come è avvenuto quando, dopo aver assunto il tema della concertazione come irrinunciabile, vi ha fatto ricorso solo con Sindacati e Confindustria, interlocutori che sembrano spesso dettare l’agenda alla politica, mentre tutti gli altri soggetti in campo, accomunati dall’indistinta e pregiudizialmente offensiva definizione di corporazioni, sono stati costretti a subire decisioni prese altrove. Con il paradosso, che emerge con chiarezza dalla logica ispiratrice dell’altro blocco della manovra governativa, il cosiddetto “Pacchetto Visco”, che, proprio mentre viene loro riservato un simile trattamento, agli Ordini, a quelli economico-contabili nello specifico, viene contestualmente richiesto un ulteriore sforzo di collaborazione con la Pubblica amministrazione, questa volta per contribuire alla lotta all’elusione e all’evasione fiscale.

Non ci sottrarremo certo a questa nuovo impegno, nell’interesse dell’economia italiana, nonostante riserve e perplessità su alcune delle norme previste. Ma vale la pena sottolineare come, anche in questo caso, nel quale i professionisti vengono nuovamente chiamati ad un ruolo di supplenza nelle funzioni istituzionali dell’amministrazione, la strada del dialogo preventivo non sia stata percorsa. Una ragione in più per prendere definitivamente coscienza del fatto che obiettivo primario dei professionisti deve essere quello di farsi parte sociale, autorevole rappresentanza di quasi due milioni di lavoratori italiani.

 


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