Claudio Sicigliotti
Presid.CNDCEC www.commercialisti.it

Con la pubblicazione in G.U. del decreto legislativo in materia di revisione legale dei conti, si è chiusa la prima fase di un percorso che potrà dirsi ultimato solo quando vedranno la luce i decreti attuativi cui la norma rimanda. Un percorso che viene seguito passo dopo passo dal CNDCEC, nella piena consapevolezza dell’importanza cruciale che la questione riveste per la nostra professione. Nel testo del decreto legislativo ci sono elementi positivi e negativi. Sul fronte del collegio sindacale, c’è un chiaro rafforzamento dell’istituto. Abbiamo lavorato perché il legislatore avesse ancora maggiore coraggio, ma possiamo comunque dirci soddisfatti di aver trasformato, nel giro di un paio d’anni, una battaglia che era difensiva (e sembrava ormai persa) in una battaglia che ora è tutta all’attacco (e proseguirà su questa strada). Dopodiché ci sono anche gli aspetti negativi, che non vanno sottaciuti e rispetto ai quali non ci sottraiamo. Sul tema della revisione c’è un oggettivo arretramento formale: sino a ieri era una norma di legge che sanciva la competenza del nostro Consiglio Nazionale alla tenuta del Registro dei Revisori; ora la norma di legge rinvia ad un decreto regolamentare per l’attuazione delle disposizioni concernenti la modalità di tenuta del Registro. Stessa cosa dicasi per i casi di equipollenza in merito all’accesso al registro e all’assolvimento degli obblighi di formazione continua. Autorevoli esponenti del MEF hanno però assicurato, in occasione di pubblici dibattiti, che non vi è alcuna intenzione di sottrarre la tenuta del registro alla nostra professione, non fosse altro perché essa ha operato in questi anni con efficienza ed economicità. Allo stesso modo, siamo assolutamente convinti che tra i casi di equipollenza saranno contemplati l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della nostra professione, nonché i relativi obblighi di formazione continua regolarmente adempiuti dagli iscritti. La revisione d’altro canto non è una nuova professione, ma soltanto un’attività che rientra tra quelle tipiche della nostra. Una nuova professione non avrebbe “casi di equipollenza” per accesso e formazione. Una nuova professione non rinvierebbe a tavoli istituiti con Ordini e Associazioni per l’elaborazione dei principi oggetto precipuo della sua attività. Una nuova professione, infine, avrebbe un proprio ordinamento e una propria rappresentanza istituzionale a livello locale e nazionale. Nulla di quello che c’è nel decreto legislativo depone a favore della strampalata tesi della nascita di una nuova professione, a fianco di quella che invece è e rimane l’unica professione giuridico-contabile italiana: quella del dottore commercialista e dell’esperto contabile. Chi vede qualcosa di diverso, evidentemente vuole vederlo, anzi si augura che accada. Per chi guarda dall’esterno della nostra professione, è comprensibile. Per chi guarda dall’interno, è invece il segnale che ancora oggi c’è chi si crede Sansone e, ancora peggio, crede sia meglio morire con tutti i filistei, piuttosto che lavorare per una professione sempre più forte a vantaggio di tutti i Colleghi.

 


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