Editoriali di Maria Luisa Campise www.commercialisti.it

Chi ha un’immagine del commercialista appiattita su quelli che sono folkloristici luoghi comuni, perché magari ha visto fuorvianti (e inaccettabili!) rappresentazioni televisive, potrebbe rimanere perplesso di fronte a un numero di “Press” dedicato al fenomeno del contrasto all’evasione fiscale. Questo qualcuno si aspetterebbe, infatti, di vedere trattata una tematica così socialmente rilevante su una testata, magari, dell’Amministrazione finanziaria, ma non su quella di Categoria, relegando il commercialista al ruolo di lettore interessato, magari per carpire spunti utili per perpetrare l’evasione fiscale, anziché per contrastarla.

La realtà delle cose, invece, come anzitutto noi sappiamo e possono, poi, confermare proprio coloro che hanno ruoli di guida e responsabilità all’interno della Pubblica amministrazione italiana, è ben diversa. Il dottore commercialista e l’esperto contabile, quello vero, quello iscritto all’Albo, ha ben altro ruolo nella nostra società che quello di essere il tifoso dell’evasione fiscale o l’artefice delle condotte evasive del suo cliente. Quando offriamo la consulenza tributaria che i nostri clienti molto spesso ci chiedono, in ragione della riconosciuta competenza che abbiamo in materia, cerchiamo senz’altro di procurare il massimo vantaggio al nostro cliente, ma ricordiamo sempre a noi stessi che esso deve contemperarsi con il rispetto della legge e la tutela del pubblico interesse.

Certo non sempre è facile sentirsi tutore non soltanto degli interessi del proprio cliente, ma anche dello Stato, quando è lo Stato in primis a non riconoscerti nei fatti come tale relegando un’attività delicata e di chiara rilevanza pubblicistica, come la consulenza in materia fiscale, al rango di mera attività consulenziale da chiunque esercitabile. Difficile, ma non impossibile se, come è vero per la grandissima maggioranza dei commercialisti italiani, si possiede un profondo senso dello Stato e della legalità. Ecco perché, nonostante la dimensione meramente consulenziale in cui si è assurdamente ritenuto di relegare i commercialisti italiani in ambito tributario, chi ci rappresenta è comunque sempre pronto a interloquire, non da avversario, bensì da partner capace e affidabile, ogni qual volta si discetta di evasione fiscale e di azioni volte a contrastarne il dilagare. Oggi, forse più che in passato, è chiaro come l’azione di contrasto all’evasione si debba giocare su due piani distinti: quello “di massa” del puro e semplice occultamento dei redditi, ossia il cosiddetto “nero” che alimenta il circuito dell’economia sommersa, nonché quello “elevato” della delocalizzazione dei redditi e delle residenze fittizie all’estero di persone fisiche e società. Per quanto riguarda la prima direttrice, non v’è dubbio che la strada da seguire sia quella del redditometro opportunamente revisionato. L’altra direttrice dovrebbe essere quella della neutralizzazione dei paradisi finanziari. Due strategie, dunque, che sicuramente potranno riempire di contenuti i lodevoli impegni dell’attuale Governo e di quelli precedenti.

Ma non basta. Occorre, anche, un’evoluzione del sistema tributario italiano verso un fisco leggero con sanzioni pesanti. Se non abbassiamo in modo significativo la pressione fiscale e non eleviamo in modo apprezzabile la qualità dei servizi e del welfare che lo Stato assicura ai cittadini, l’evasione fiscale non verrà mai ridotta ad un livello fisiologico. Pensare che, in un contesto di pressione fiscale elevata, l’emersione del sommerso possa essere affidata ai soli controlli o, peggio ancora, a periodici condoni fiscali riguardanti il pregresso, è pura follia. In un Paese come il nostro che, nel bene o nel male, è e sempre sarà il Paese dei furbi, un po’ di furbizia onesta anche da parte dello Stato non sarebbe male.

 


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