Rapporto di lavoro dipendente e riforma del fallimentare


Un documento del Gruppo di studio Lavoro e previdenza Di Barbara Proietti
(Italia Oggi, 10 maggio 2006)
Fonte consrag.it

Fornire indicazioni pratiche ai professionisti che si occupano di procedure fallimentari ed in particolare di fallimenti.

E’ nato con questo obiettivo il nuovo documento del gruppo di studio “lavoro e previdenza” del Consiglio nazionale ragionieri, presieduto da Cesario Genco, elaborato alla luce delle modifiche apportate alla disciplina delle procedure fallimentari.

Le novità introdotte dal legislatore avranno effetto a partire del 16.07.06, ad eccezione di alcune disposizioni di applicazione immediata e ripensano le funzioni del curatore attribuendogli maggiori poteri in relazione alla formazione dello stato passivo, all’esercizio provvisorio dell’impresa ed alla programmazione della liquidazione. Il documento del Consiglio nazionale analizza i principali adempimenti che il curatore dovrà attuare per il puntuale svolgimento dell’attività professionale, tenendo conto del principio ispiratore della riforma che mira alla conservazione del patrimonio dell’impresa finalizzato alla tutela dei beni produttivi e dei livelli occupazionali, relegando in secondo piano lo scopo sanzionatorio del fallimento.

La prima necessaria distinzione in esame, riguarda la presenza o meno dell’esercizio provvisorio. In assenza di quest’ultimo, il curatore dovrà accertare l’esistenza di rapporti di lavoro, instaurati dal soggetto dichiarato fallito ed in essere al momento della dichiarazione di fallimento, tenuto conto che l’art. 2119 del c.c. disciplina il “recesso per giusta causa” prevedendo che il fallimento non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto di lavoro. Dunque, il contratto di lavoro viene sospeso fin quando il curatore dichiarerà di voler subentrare nel contratto stesso oppure risolverlo. Nelle more delle sue decisioni, le prestazioni resteranno sospese nel senso che il lavoratore non è tenuto ad effettuare alcuna prestazione lavorativa e il curatore non dovrà corrispondere alcuna retribuzione. Egli dovrà quindi accertare, con riferimento al settore nel quale operava l’impresa fallita, l’esistenza di ammortizzatori sociali cui fare riferimento per i successivi adempimenti, attivando le procedure con l’INPS per consentire ai dipendenti dell’impresa fallita di usufruire delle agevolazioni vigenti. Tra queste, le più significative sono la CIGS e la Mobilità, istituti a totale carico dell’INPS che provvede direttamente al pagamento delle relative indennità.

La normativa vigente prevede che, in caso di fallimento di un azienda avente in essere rapporti di lavoro, la procedura concorsuale non ne determina ipso iure la risoluzione bensì la sospensione fin quando il curatore non procede ai licenziamenti, dopo aver attivato gli strumenti messi in campo dal legislatore a sostegno del reddito e dell’occupazione ai sensi della legge 223/1991. Pertanto, prima di procedere ad eventuali licenziamenti, egli dovrà valutare la possibilità di richiedere al Giudice Delegato l’autorizzazione per l’esercizio provvisorio. Nel caso in cui il Tribunale neghi l’autorizzazione, il curatore, allo scopo di consentire ai lavoratori di beneficiare quantomeno della indennità di disoccupazione, dovrà recedere dal contratto di lavoro intimando ai dipendenti il licenziamento con effetto dalla data di dichiarazione del fallimento, ai sensi della legge 15.07.66, n.604. In tal caso, ai lavoratori spetteranno le eventuali retribuzioni non corrisposte, l’indennità sostitutiva del preavviso ed il T.F.R., competenze che dovranno essere insinuate al passivo fallimentare con il privilegio che compete alle stesse.

Nell’ipotesi in cui invece il Giudice Delegato autorizzi l’esercizio provvisorio, il curatore oltre agli adempimenti previsti dalla legge fallimentare, dovrà darne comunicazione ai lavoratori ed in virtù del provvedimento del Tribunale subentrare nel rapporto di lavoro, ponendo in essere gli adempimenti connessi. Considerata quindi la speciale situazione giuridica intervenuta dopo la sentenza dichiarativa del fallimento, le competenze dovute per T.F.R. ai sensi dell’art. 2120 c.c., dovranno essere suddivise in due periodi, il primo antecedente alla dichiarazione di fallimento, il secondo relativo al periodo di lavoro svolto alle dipendenze della curatela e quindi successivo alla dichiarazione di fallimento.

Il gruppo “lavoro e previdenza” oltre ad approfondire ulteriormente le attività del curatore connesse al verificarsi delle due ipotesi, prende in esame gli aspetti relativi al regime sanzionatorio ante e post dichiarazione di fallimento, partendo dal presupposto che la nuova disciplina fallimentare pone a carico del curatore il compito di effettuare diverse verifiche, ed in particolare di esaminare le domande di ammissione dei crediti e di redigere il progetto di formazione dello stato passivo. Alcuni cenni sono infine dedicati all’istituto dell’esdebitazione, novità assoluta della riforma in virtù del fatto che potrebbe trovare una coerente applicazione anche nei riflessi dei debiti di natura previdenziale.

 


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